Tornare alla vera Italia non è solo questione di tecnologia

Assente giustificato.

Torno finalmente sul web dopo alcuni giorni di latitanza dovuti principalmente ai calzanti impegni che le grandi aziende straniere stanno mettendo in piedi all’inizio dell’anno sia in vista del Bauma, sia per la formazione dei concessionari.

Tornare in Italia dopo alcuni giorni oltre frontiera provoca sempre emozioni contrastanti.

Da un lato il piacere di tornare a casa, dall’altro quello altrettanto intenso ma spiacevole di vedere tutto quello che non funziona e capire che basterebbe poco per essere ai vertici mondiali in ogni settore merceologico.

Più di una volta ho avuto la sensazione che in questo paese, per le persone che la pensano come me, ci sia poco spazio. Sensazione sempre più confermata dagli spazi che i nostri connazionali riscontrano in molte aziende straniere e dalla altrettanto elevata difficoltà a farsi spazio in patria se non si hanno “santi in paradiso”.

Nel momento in cui si è apprezzati, poi, le retribuzioni sono nettamente inferiori, a parità di responsabilità, rispetto ai colleghi che lavorano oltre le Alpi. Con un costo della vita che, nonostante quanto spesso sostenuto dai soloni della comunicazione nazionale, si rivela mediamente inferiore del 30% in paesi come Austria e Germania.

Più di una volta ho avuto la voglia di andarmene, di portare le mie capacità altrove e di costruirmi un futuro in un paese che, secondo i miei personalissimi e altrettanto opinabili standard, meritasse di essere considerato civile.

Ciò non toglie che si sia ancora qui a cercare di combattere per un paese che dal punto di vista industriale ha moltissimo da insegnare e pochissimo da imparare.

Un legame molto forte è sicuramente rappresentato dalla famiglia, dalle sue esigenze e dalle necessità dei figli.

Uno stimolo molto forte è sicuramente dato dalla capacità di sapersi confrontare con altre realtà, di saper capire cosa abbiamo di buono e di cattivo, di saper valorizzare le capacità imprenditoriali e innovative del nostro paese.

Si tratta di riflessioni che nascono spontanee ogni qualvolta ho l’occasione di visitare unità produttive di aziende tedesche, austriache, francesi, americane, inglesi, giapponesi.

Se in alcuni casi si toccano veri e propri livelli di eccellenza, in altri si rimane stupiti dal livello tecnologico assolutamente non straordinario a fronte di una popolarità spesso sopravvalutata di aziende a mio avviso mediocri.

Riflettendo a fondo ci rendiamo conto che alla fine non è una questione di tecnologia, ne’ di innovazione, ne’ di capacità imprenditoriale. Si tratta di una vera lacuna nel nostro sistema nazionale che infanga il nome e il prestigio delle aziende italiane all’estero.

Imprenditori abituati a camminare nel fango, quelli italiani, che combattono spesso con i pregiudizi di una immagine oggi fortemente in declino che svaluta il valore elevato dei loro prodotti.

Non è solo questione di tecnologia. Proprio no. Si tratta di una cultura dell’etica che ci fa vedere come mosche bianche coloro che propugnano un modo corretto di agire.

Spesso si tratta proprio di coloro che hanno lavorato all’estero per lungo tempo e hanno importato nelle loro aziende una sana mentalità concorrenziale che aiuta a crescere loro, la loro azienda e i loro collaboratori.

Ne ho incontrati alcuni, in queste ultime settimane, e grazie a loro ho intravisto un barlume di speranza per il futuro del nostro paese.

Rimane però la certezza che per quanto queste persone si impegnino e si proiettino verso un nuovo modo di pensare, a poco servirà il loro sforzo se non cambierà lo scenario attuale di un paese che, ci piaccia o no, è fortemente arretrato da tutti i punti di vista.

Inutile elencare qui le cause di questo evidente gap culturale che frena la scuola, il libero pensiero, i diritti civili fondamentali, la libertà individuale: le conosciamo tutti.

E sappiamo tutti molto bene che tornare alla vera Italia non è solo questione di tecnologia.

Si tratta di abbandonare definitivamente il ‘900 e guardare avanti a noi.

Magari scrollandoci di dosso quella bella cappa medioevale che ancora oggi ci avvolge.

1 commento

  1. Hai ragione su tutta la linea, mi permetto di aggiungere che la realtà che si vive qui al Sud è ancora peggiore. E’ inutile negare. Come dico sempre il “lavoro” riconosce “il lavoro” così come la professionalità riconosce la professionalità altrui.
    Chi si ostina a non la riconoscerla è in malafede o semplicemente incompetente….

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