Nuovo, usato o ricondizionato?

Durante le mie vacanze (…non acora finite per fortuna!) non ho mai smesso di pensare ai nostri bene amati mezzi per “muovere la terra”.

Nel mio peregrinare in sud Italia, fra la Basilicata e la Puglia, benché le attività fossero giustamente in stand-by per le ferie estive, i numerosi cantieri e le cave visibili dalla strada hanno messo in evidenza la presenza di un parco macchine decisamente datato ma ancora in perfetta efficienza grazie a un paziente lavoro di ricondizionamento e continua manutenzione.

Spesso si fa di necessità virtù e i vecchi mezzi ancora in funzione sarebbero volentieri sostituiti se l’andamento del mercato fosse quanto meno incoraggiante. Lasciando da parte la mentalità imprenditoriale di alcuni che pensano ai mezzi come a una spesa e non a un investimento alimentando un mercato di macchine oggettivamente più da collezione che da lavoro, la domanda che più volte ci siamo fatti su queste pagine virtuali è sempre la stessa: quando arriverà il giorno in cui il quadro normativo sarà premiante verso le aziende che investono in mezzi all’avanguardia? Quando impareremo a prendere esempio dai paesi europei situati appena al di là delle Alpi istituendo dei bandi di gara in cui la valenza tecnologica sia parte integrante dell’offerta tecnica e in cui il prezzo e la regolarità contributiva – elementi che agevolano soltanto un sottobosco di aziende che operano nell’illegalità – siano gli unici aspetti rilevanti per accedere a una commessa pubblica?

Nuovo, usato o ricondizionato?

Me lo sono chiesto più volte vedendo tutti quei mezzi che spesso hanno fatto la storia del movimento terra e che nelle zone del sud sono oggi ancora una presenza abituale, concreta e operativa consentendo di svolgere quei lavori – pochi per la verità – che non siano faraoniche grandi opere senza fine (perché in quei cantieri le logiche dominanti sono ben altre) ma quel minimo di manutenzione del territorio che grida giustizia con voce squillante.

Ragionando sul perché ci siano ancora tanti mezzi obsoleti al lavoro qui da noi è immediata l’idea che sia la stessa Italia a non volere cambiare mentalità e che la questione “nuovo, usato o ricondizionato?” sia da apporre più al sistema paese, ormai sempre più ingessato nel riciclare una classe politica inadeguata e specchio perfetto di un elettorato medio perfettamente integrato in un sistema lontano dal cambiamento, che non al parco macchine delle imprese italiane ormai ridotte all’asfissia da uno Stato che si ricorda di loro solo quando c’è da prendere.