Molto più che un semplice lavoro

Oggi si parte per Colmar. Si va nello stabilimento Liebherr France dove sono costruiti gli escavatori cingolati del gruppo tedesco.

Si tratta del terzo lungo viaggio in tre settimane a cui si aggiunge anche la copiosa nevicata che accompagnerà il sottoscritto e il suo compagno di lavoro da Torino fino in Alsazia. Di aerei che portino direttamente all’aeroporto di Colmar-Basilea-Friburgo non ce ne sono. Ne’ da Torino, ne’ da Milano.

Qui da noi abbiamo decine di aeroporti come vessillo di guerra del politicante di turno. Lassù ne hanno costruito uno che serve ben tre nazioni diverse….Francia, Svizzera e Germania…ma i nostri numerosi aeroporti del nord snobbano una mèta ritenuta a torto poco strategica.

Ma non è questo il succo della questione. Avremo tempo di parlare della mala gestio tutta italiana dopo l’esito elettorale.

La nevicata e i disagi sono poca cosa se penso che questo mio continuo itinerare per il mondo mi porta in contatto con persone di tutte le nazionalità e culture per testare macchine di nuova generazione, venendo in contatto con i nuovi mezzi in anticipo di molti mesi rispetto agli operatori che un giorno li useranno tutti i giorni.

Il mio pensiero va proprio a loro. Agli operatori.

Sarà che oggi viaggerò con Massimo Mollo, amico ormai di lunga data, collaboratore di “Macchine Edili”, dipendente in un grande gruppo estrattivo piemontese e a cui la definizione di “operatore di macchine movimento terra” va decisamente molto stretta.

La neve di oggi o del mio precedente viaggio a Praga con Doosan Bobcat, il gelo pungente dell’Alta Austria che mi ha accompagnato nello stabilimento Wacker Neuson di Linz, il vento, il fango, la polvere e il caldo afoso estivi, sono compagni di lavoro quotidiani degli operatori delle macchine movimento terra.

E se da un lato inorgogliscono il sottoscritto ogni volta che gli capita di stare fuori per lavorare e, tutto sommato, sono anche compagni spesso piacevoli perché rinverdiscono quello spirito di sana sopportazione degli elementi che spesso la vita comoda mette in soffitta, dall’altro sono spesso pesanti fardelli da portarsi in spalla tutti i giorni per coloro che sono costretti a viverli loro malgrado.

Non a tutti la definizione di operatore va stretta…non tutti hanno scelto questo lavoro per passione, per dedizione o per vocazione. In molti ci sono capitati loro malgrado ma coloro che si distinguono dal mucchio sono immediatamente individuabili.

Macchina da lavoro sempre perfettamente efficiente, agitazione immediata appena compare il minimo sintomo di qualche anomalia meccanica o elettronica, cabina intonsa da polvere o fango nonostante attorno a loro vi sia solo polvere o fango, nessun graffio sulle carrozzerie dei mezzi.

Gli unici punti in cui la vernice non è più visibile sono i cingoli, le guide di scorrimento dei rulli, la benna e appena appena la parte terminale dell’avambraccio dell’escavatore. Nel caso di una pala gommata avremo la benna e la sua zona di aggancio con i bracci.

Conosco alcuni operatori che fanno parte di questa famiglia di veri professionisti per i quali usare una macchina movimento terra è molto più che un semplice lavoro.

Massimo Mollo, Michele Ressia, Giuseppe Monteforte sono i primi che mi vengono in mente. Un po’ perché sono persone che operano in Piemonte e sono conosciuti nel loro ambito per la cura e la passione che dedicano al loro mestiere, un po’ perché hanno diversi aspetti caratteriali che però li portano a pensare il proprio mestiere alla stessa maniera.

Ho proprio detto “mestiere”. Qui non si tratta di lavoro ma di “mestiere”. E il “mestiere” richiede applicazione, richiedere di “sapere per saper fare”, richiede cura, richiede ragionamento, richiede voglia, richiede attenzione, richiede preparazione, richiede esperienza.

Quando parliamo di esperienza non parliamo per forza di cose di capelli bianchi in testa. Avere una certa età non significa per forza di cose essere saggi o fare l’operatore meglio di un giovane.

Ho incontrato decine di operatori anziani che si vantavano di aver passato quaranta anni sulle macchine. Per come le usavano avevano sprecato quaranta anni del loro tempo. Avessero fatto altro sarebbe stato meglio. Per loro e per gli altri.

Quando parlo di esperienza e quando questa si ravvisa in una persona fra i trenta e quaranta anni di età possiamo tranquillamente parlare di maturità professionale, di capacità analitica nel saper affrontare con coscienza le problematiche del proprio lavoro.

Quando parlo di Massimo, di Michele e di Giuseppe parlo di veri professionisti. Parlo prima di tutto di persone intelligenti che sono consapevoli di avere fra le mani uno strumento pericoloso che può essere fonte enorme di danni a persone e cose.

Parlo di persone che ogni giorno convivono con caldo e freddo estremi, con polvere e fango, con vento e neve, con ghiaccio e temporali.

Ma nonostante questo tengono il proprio mezzo in perfetto ordine perché sono orgogliosi della propria immagine, perché sanno che se la macchina è efficiente ne guadagna la loro sicurezza, perché sono consapevoli di essere dei professionisti e ci tengono ad essere considerati tali.

E alla fine la nevicata di oggi, per quanto possa rendere difficile il viaggio da Torino verso l’Alsazia, non è nulla se messa a confronto con quanto ogni giorno questi professionisti sopportano per svolgere il proprio lavoro con coscienza e alto valore aggiunto.

Perché anche il loro, come tutti coloro  – e ci metto anche il sottoscritto – che svolgono una professione con criterio e passione, è molto più che un semplice lavoro.