Maledette corde!

Non solo “ruspe”…ma anche “draghe”.

E’ così che vengono spesso chiamate le macchine movimento terra da “chi non se ne intende” e vuole indicare una macchina adatta a scavare il terreno.

“Ho visto una draga…”

“C’era una draga che scavava…”

…quante volte a noi addetti ai lavori viene la pelle d’oca nel sentire chi indica una macchina – che ha un nome specifico e ben definito – con questo sostantivo.

Eppure le draghe sono sinonimo di scavo e di estrazione di materiale. Situate lungo il corso dei fiumi o nei piccolo laghi, dove dragavano il letto estraendo la ghiaia, si sono nel tempo evolute passando da semplici macchine fisse che usavano una benna che scorreva su funi, ai più moderni esemplari di macchine cingolate con torretta girevole.

E acquistando al contempo una valenza diversa con le draghe, quelle vere, che sono diventate un prodotto specializzato che spazia dai modelli galleggianti a fune (redinger) fino a quelli aspiranti che funzionano come dei giganteschi aspirapolvere.

Ma è proprio dai modelli a fune che nasce il sostantivo “draga” e che ancora oggi identifica nell’immaginario comune le macchine movimento terra che scavano.

Le varianti cingolate erano sostanzialmente due: con braccio a traliccio e benna trascinata (drag-line) o con braccio articolato per scavo sia rovescio che frontale.

E quando qualcuno pronuncia la fatidica parola “draga” a noi ” del mestiere” vengono in mente entrambe.

Lavoravano da sole o in coppie con le pale cingolate e hanno scavato le fondamenta di gran parte degli ampliamenti urbanistici degli anni ’60 e ’70 in tutta la penisola.

Un sottobosco di aziende e di marchi che hanno fatto la storia sia del movimento terra del dopoguerra, fino all’avvento dell’escavatore idraulico che, però, è riuscito a soppiantarle definitivamente solo negli anni ’70.

Prima non c’era storia: le “draghe”, insieme alle pale cingolate, non avevano rivali di sorta in quanto a produttività.

Fra tutti i marchi che invasero i nostri cantieri, però, uno solo è rimasto scolpito realmente nel cuore degli operatori: Ruston Bucyrus.

E molti ricordano anche un marchio italiano che fece un pezzetto di storia di queste macchine: Fiorentini.

In realtà i due costruttori erano legati intimamente in quanto la Fiorentini fu rappresentante per l’Italia del marchio USA contribuendo in modo significativo alla sua diffusione anche con prodotti costruiti su licenza negli stabilimenti di Roma e Fabriano. Non è un caso se i modelli del costruttore italiano erano caratterizzati dalla sigla FB (Fiorentini-Bucyrus) in perfetta assonanza con la sigla dei modelli USA caratterizzati dal marchio RB (Ruston-Bucyrus).

Macchine che spaziavano dal peso piuma RB10 fino ai mega modelli che operano ancora oggi, con il marchio Caterpillar della divisione Mining, nelle grandi miniere a cielo aperto di mezzo mondo.

Ma in Italia i modelli che facevano il bello e il brutto tempo erano sostanzialmente tre: la RB19, la RB22 e la RB30. Con alcune puntate verso l’alto e con qualche RB71 che, ancora oggi, è perfettamente funzionante e opera nei laghi di qualche cava della Pianura Padana. Oltre a qualche grande modello nato, cresciuto e defunto in qualche miniera del centro Italia o della Sardegna.

Ma sono proprio le 19, le 22 e le 30 che, più di altre macchine, hanno costruito l’immaginario collettivo delle “draghe” come macchine movimento terra.

Le si vedeva al lavoro nello scavo in Torino come sulla chiatta nel porto di Loano mentre costruivano scogliere frangiflutti. Lungo il fiume durante la scampagnata domenicale così come in montagna nella realizzazione di una strada.

Alle spalle, tanta storia, tanti scavi e tanti ricordi.

E un nome, draga, che sarà sempre un evergreen anche quando indicherà un moderno escavatore idraulico dalla gestione elettronica.

E che non sa nemmeno lontanamente cosa siano quelle maledette corde che si rompevano sul più bello.