La rivoluzione degli anni ’90 – parte terza

Il cambiamento radicale non fu solo una mera “questione di macchine” ma di mentalità aziendale a 360°.

L’arrivo dei giapponesi nello stabilimento di San Mauro rappresentò una vera rivoluzione aziendale in cui qualità totale, soddisfazione del cliente e continua evoluzione del prodotto erano tre cardini fondamentali.

Dopo un immobilismo durato quasi trent’anni – e in cui gli escavatori Fiatallis nulla erano se non aggiornamenti (spesso in peggio) dei modelli Simit nati negli anni ’70 – questa ricerca mirata alla soddisfazione del cliente era vista come una vera ventata di novità e di partecipazione alla vita aziendale.

Lo sviluppo e il miglioramento dei neonati escavatori italo-giapponesi passava in primis dai clienti. Un cambio di atteggiamento che fece arrivare nei cantieri italiani dei piccoli gruppi di ingegneri del Sol Levante che, macchina fotografica e taccuino alla mano, raccoglievano pareri, impressioni e fotografavano tutte le anomalie riscontrate.

Mi ricordo, in particolare, la visita nei cantieri di famiglia di due progettisti che erano arrivati a Torino in pianta stabile dal Giappone.

Nell’arco di un anno il parco macchine aziendale aveva ricevuto l’ingresso di cinque Fiat-Hitachi: due FH200, due FH220 e un FH300…tutti con braccio triplice nella migliore tradizione dei clienti Simit…seguito dopo poco tempo da un altro FH300 con braccio mono.

Le macchine andavano veramente bene ma qualche problema era sorto: il carro del primo FH220 aveva una evidente fessurazione nella giunzione delle lamiere che componevano la parte superiore del telaio a “X”. Uno degli FH200 aveva i servocomandi che trafilavano un po’ di olio. Alcuni cilindri di sollevamento avevano perdite dalle guarnizioni. Le temperature di esercizio degli FH200 e dell’FH300 tendevano a salire in modo anomalo.

I due progettisti, accompagnati da un loro collega italiano che svolgeva funzioni di interprete, passarono una intera giornata con noi a visionare, parlare, chiedere, fotografare, filmare, capire. E ci spiegarono che molte soluzioni, come ad esempio quella di eseguire il carro a “X” con delle lamiere accoppiate e non con una unica lamiera piegata, erano compromessi produttivi che adottavano in Italia. Così come i fornitori dei servocomandi e dei cilindri non soddisfacevano lo standard Hitachi che erano soliti perseguire in Giappone. Per quanto riguardava il surriscaldamento si trattava di scelte motoristiche da capire e rivedere per il futuro.

In effetti seguirono, successivamente, cambi radicali a livello produttivo: i telai a “X” furono prodotti in casa con l’introduzione di nuove macchine utensili che permettevano la piegatura, l’assemblaggio e le saldature delle grandi lamiere. Venne allestito un reparto specifico per la produzione dei cilindri idraulici con tecnologia Kayaba e l’ingente investimento fu effettuato anche per allestire tutta la gamma Fiat-Hitachi oltre che gli escavatori idraulici.

Un ulteriore passo, sospinto con forza e convinzione dal partner giapponese, verso una qualità globale fino ad allora sconosciuta alle macchine movimento terra del gruppo Fiat.

E che iniziò a portare concreti risultati non solo a livello nazionale ma anche a livello europeo.

Con i concorrenti sempre più preoccupati e Caterpillar che, dal canto suo, stava affilando le armi in gran segreto.