La rivoluzione degli anni ’90 – parte seconda

Il cambio di mentalità e il passaggio ai nuovi modelli di impostazione giapponese, all’inizio, non fu affatto semplice.

Anzi.

Le macchine a cui gli operatori nostrani erano abituati erano molto più lente e spesso all’apparenza anche più forti.

La velocità operativa elevatissima, gli avambracci molto lunghi sui bracci monoblocco dal disegno molto più aperto rispetto al passato (chiaro segno di forze idrauliche decisamente superiori) le torrette basse e larghe, i carri bassi e lunghi ma con catenarie e rulli decisamente più massicci rispetto al passato, lasciarono perplessi gli operatori fino ad allora abituati a macchine alte, con bracci più corti, più lente nelle manovre.

Solo chi usava Caterpillar aveva già capito, con gli ultimi modelli della storica serie 200 nata negli anni ’70, il valore della velocità operativa.

Non è un segreto che ormai le macchine del costruttore USA stessero imperversando nel mercato grazie a caratteristiche che, ben anche sotto le grandi torrette squadrate nate vent’anni prima, avevano portato le velocità operative a livelli che la concorrenza, tranne Komatsu, si sognava.

Ciò nonostante l’impostazione dei carri, dei bracci, delle cabine, per quanto più avanti rispetto alla gran parte della concorrenza, non erano sicuramente all’altezza dei modelli “made in Japan”.

Un vero e proprio salto generazionale a cui in molti faticarono ad abituarsi. L’impostazione delle tre modalità di lavoro rimase quasi completamente inutilizzata e vista come un inutile gadget. L’elevata velocità operativa non fu vista come una opportunità ma come un ostacolo alla esecuzione accurata dei lavori.

Insomma…i dubbi erano molti soprattutto perché chi già era abituato agli escavatori giapponesi con i Komatsu continuava a comprare quelle macchine ben anche l’assistenza non fosse esemplare. Chi li usava in quegli anni ne parla quasi come macchine leggendarie con una affidabilità a prova di bomba.

Di fatto furono proprio i Fiat-Hitachi a imporre un nuovo modo di pensare l’escavatore idraulico.

Mi ricordo un pomeriggio di primavera del 1989: ero alla fine della quarta liceo (me lo ricordo perché non studiai in modo accurato per un compito di chimica che ci sarebbe stato il giorno dopo) e finalmente vidi i primi Fiat-Hitachi nella cava Italcementi di Robilante. Erano un FH300 e un FH200. Si trattava, nell’azienda di famiglia, di sostituire un FE28, un FE20HD e di aumentare il parco macchine per i lavori del passante ferroviario che sarebbero cominciati di lì a poco.

Era evidente che fossero escavatori fuori dagli standard a cui si era abituati con le macchine “made in Torino”…erano talmente diversi che solo la vernice gialla e il marchio “Fiatallis” che accompagnò per un certo periodo il nuovo brand tradivano una qualche appartenenza alla grande famiglia italiana di macchine movimento terra.

Nonostante questo i dubbi e le perplessità espresse allora da mio padre e da mio zio furono tali che il venditore riuscì a strappare un contratto di acquisto per un FH200, due FH220 e una FL14E solo grazie alla eterna fedeltà al marchio Fiat. Ma non prima di aver effettuato una visita al concessionario Komatsu di zona e aver visto al lavoro un PC300-3. Macchina eccezionale. Ma il concessionario non fu all’altezza di cotanta macchina.

E furono in molti che si ostinarono a trovare ogni tipo di difetto in escavatori che però, zitti zitti, si diffusero in pochissimo tempo a macchia d’olio perché, oggettivamente, andavano veramente bene.

Vizio tutto italico, quello di criticare a prescindere, non appena ci si trova davanti a delle novità che hanno dei veri contenuti tecnologici.

Una delle chiavi di volta furono i molti clienti Caterpillar che, probabilmente più abituati a valutare la tecnologia delle macchine, si convertirono al nuovo marchio maggiormente consapevoli di altri di cosa stavano acquistando.

E anche questo fa parte della storia. Perché Caterpillar non poteva stare a guardare.

Proprio no.