Fino ad ora non mi ero spinto su discorsi che andassero al di là del tecnico, dell’osservazione di mercato, dell’analisi storica di fatti che riguardano le macchine movimento terra.
Questo mio “uscire dal seminato” è dato non tanto da una mania di protagonismo ma da una triste osservazione di quanto sta lentamente ma inesorabilmente avvenendo nel nostro paese.
Durante un mio servizio a Brunico, in Alto Adige, avevo visto all’opera più camion ed escavatori nei due chilometri di tragitto dall’albergo alla sede dell’impresa che andavo a visitare che non negli ultimi due precedenti mesi a Torino, la mia città.
Una realtà, l’Alto Adige, che sicuramente vive di grandi aiuti da parte del paese ma in cui il denaro pubblico è gestito in modo razionale con ricadute positive su territorio e cittadini.
Ed eravamo a marzo. Le cose nel frattempo sono peggiorate e in un periodo come questo, in cui normalmente Torino pullula di macchine al lavoro, cantieri stradali estivi, manutenzioni del suolo pubblico, costruzione di nuovi manufatti, regna un silenzio quasi irreale.
E le voci dal resto dell’Italia non sono migliori.
Il recente decreto del “Fare” sembra voglia introdurre una ennesima incombenza burocratica per le aziende con la stortura del Durt, il Documento Unico della Regolarità Tributaria che prevede 21 nuovi adempimenti burocratici per dimostrare di essere in regola e ottenere così il pagamento di quanto dovuto da parte della pubblica amministrazione.
Questa volta l’idea arriva da parte del M5S, ossia quella parte politica che si propone di rivoluzionare il paese, di cambiarlo profondamente, di rivedere il suo funzionamento in modo radicale.
Eppure anche loro sono stati in grado di fare una nuova ulteriore regola che si sovrappone a quelle già esistenti, che non facilita il lavoro, che non aumenta i controlli contro chi opera nell’illegalità, che scoraggia i pochi che cercano di operare nel rispetto delle leggi e che, probabilmente, porterà molti di loro a chiudere bottega aggravando ulteriormente questa situazione già disperata.
Lapidario Paolo Buzzetti, presidente dell’Associazione Nazionale Costruttori Edili ““In un momento così duro per le imprese è contro ogni ragionevolezza introdurre uno strumento come il Durt, che aggiunge ulteriori oneri burocratici e rischia di bloccare i pagamenti alle imprese, già tartassate dallo Stato, senza aumentare l’efficacia dei controlli”.
Proprio così: imprese tartassate dallo Stato. Uno Stato che si legittima da solo emanando e promulgando leggi che, in quanto tali, sono di per se’ legittime ma non giuste. Una concezione dello Stato “alla Robespierre” in cui la legge va rispettata in quanto tale senza entrare nel merito se quella legge sia o meno giusta.
Un senso della giustizia che lo Stato non ha e non vuole avere perché obbliga al pagamento con metodi coercitivi senza però essere altrettanto puntuale in cambio.
La pochezza del panorama politico è stata confermata anche dai parlamentari del M5S che per l’ennesima volta hanno dimostrato di essere persone senza arte ne’ parte che si sono date alla politica salendo sul carrozzone giusto al momento giusto per riuscire a sbarcare il lunario e aggiudicarsi una serie di privilegi che è ben lungi da loro voler effettivamente annullare e cambiare.
Un paese diviso in due. Ma non per motivi elettorali, bensì per cause molto più concrete e decisamente poco ideali: una parte del paese vive sulle spalle di chi lavora non offrendo nulla in cambio.
Tutta la pletora di impiegati pubblici che mai pagano di tasca propria nel momento in cui sbagliano. Una classe politica lontana dal paese produttivo che continua a farsi la guerra di giorno per poi ritrovarsi di notte a organizzare il voto in aula in modo che tutto cambi affinché nulla cambi. Una malavita organizzata che si sta facendo sempre più strada all’interno del sistema produttivo nazionale come nel migliore dei paesi del centro e sud America.
Viviamo in un paese gravemente ammalato in cui tutto il “sistema Stato” fa corpo, a prescindere dallo schieramento politico, affinché possa continuare a vivere indisturbato sulle spalle di chi lavora.
Non parlo solo dei politici, che ormai hanno raggiunto livelli di dignità indicibili, ma anche dei burocrati che lavorano nei ministeri, negli uffici di gabinetto, nei vertici dello Stato e in tutti gli uffici pubblici a qualsiasi titolo. Un sistema che complica la vita a tutti coloro che cercano di fare impresa e che si trovano ogni santo giorno qualche nuovo balzello o incombenza da soddisfare. E spesso anche con impiegati impreparati che associano con successo arroganza ad ignoranza.
Proprio da qui deve partire la ricrescita: dall’uso razionale del denaro pubblico. Dall’uso razionale del NOSTRO DENARO. Si tratta di denaro che noi versiamo allo Stato e di cui lo Stato deve rendere conto senza “se” e senza “ma”. Di cui gli impiegati a ogni livello e a ogni titolo devono saperci rendere conto ogni volta che viene loro chiesto.
Loro sono dipendenti pubblici e quindi sono nostri dipendenti. Sono persone che devono fare il NOSTRO INTERESSE e lo devono fare in modo professionale. Se non sono in grado…spiace dirlo ma se ne devono andare come succederebbe in ogni seria realtà produttiva.
In un paese ormai rotto e spaccato in due, ci si aspettava uno scatto di orgoglio da parte di una classe dirigente che, al contrario, si è dimostrata ancor più corrotta, meschina e arroccata a difesa di posizioni indifendibili.
Intanto, di razionalizzare le risorse, di pretendere che chi deve lavorare finalmente lo faccia, di riprendere gli investimenti sul territorio, nessuno parla.
In compenso stiamo assistendo a un continuo taglio dei servizi, che però continuiamo a pagare con una pressione fiscale che è arrivata al 65% del PIL e che sembra non voglia mai scendere, e al continuo rimandare i pagamenti che la pubblica amministrazione deve alle imprese che hanno lavorato per lo Stato.
Le parole non bastano più. L’indignazione non basta più. Occorre veramente muoversi.
E anche in fretta. Diversamente la ripartenza non ci sarà mai più e il destino non solo del nostro settore ma di tutto il paese è pressoché già segnato.