Sono appena tornato da una “tre giorni” a Praga in cui Doosan Bobcat ha presentato le sue ultime novità e in cui le strategie globali del costruttore coreano sono apparse molto chiare.
Un riassetto dei compiti dell’alta dirigenza, chiari obiettivi strategici a medio e lungo termine, il raggiungimento di quanto prefissato in precedenza, il lancio di nuovi modelli e l’ampliamento della gamma hanno consentito al gruppo coreano di raggiungere il quinto posto nella classifica mondiale dei grandi costruttori di macchine movimento terra con l’obiettivo dichiarato, nel 2015, di essere fra i primi tre big player alle spalle di Caterpillar e Komatsu.
Ma non sono tanto questi obiettivi a farmi riflettere, quanto lo spirito che ho potuto riscontrare nelle persone che operano a vario titolo nel gruppo.
Uno dei meriti che va assolutamente dato a Doosan è quello di aver saputo concretizzare al meglio il valore aggiunto dei brand storici che sono stati acquisiti.
Non acquisizioni di grandi brand come Bobcat, Montabert, Geith o Moxy per annullarne le identità ma la valorizzazione dei singoli punti di forza finalizzati alla riuscita globale del gruppo. Se Caterpillar è chiaramente nord americana, se Komatsu è chiaramente giapponese, se Volvo è chiaramente svedese, Doosan è chiaramente globale.
Una multinazionale coreana che ha il 61% dei dipendenti di ogni paese del pianeta e in cui un crogiuolo di lingue distingue le conversazioni nei suoi uffici. Inglese sicuramente…ma anche francese, spagnolo, italiano, inflessioni arabe…coreano, giapponese…tedesco…
Incontrare contemporaneamente concessionari libanesi, francesi, spagnoli, italiani, polacchi…che parlano dei problemi del lavoro…che si scambiano idee e opinioni su come combattere la crisi o cercare di evitare gli errori del passato…
La capacità di essere globali non è da tutti e non è solo data dalla presenza del marchio in tutti i paesi del mondo con dealer e clienti affezionati.
Si tratta di uno spirito di gruppo che traspare chiaramente da ogni tipo di azione e che qualcuno scambierebbe come una assenza di identità…ma che invece va percepita come reale capacità di dialogare con le identità di tutti unendole in un modo che pochi altri sanno fare.
Personalmente non ho mai percepito questo modo di essere in nessun altro costruttore. Non sto parlando di bontà dei prodotti, di capacità commerciale, di potenza produttiva, di presenza territoriale, di rete assistenziale…
…sto parlando di capacità di essere al di sopra delle frontiere e di saper interpretare in modo assolutamente neutrale le esigenze dei clienti con uno spirito, prima ancora che con un prodotto, che assommi tutto il meglio di quel che oggi il mondo può dare.
Mettere insieme i coreani di Doosan, i norvegesi di Moxy, i francesi di Montabert, gli irlandesi di Geith e gli statunitensi di Bobcat e creare un gruppo di crescente successo è una operazione che richiede incredibili doti di integrazione…e queste doti nascono solo dove c’è una chiara visione globale che va oltre la costruzione e il commercio di una macchina da cantiere.
Sarà che la Corea del Sud è giunta fra gli ultimi nel novero dei grandi paesi industrializzati, sarà che la sua necessità di rendersi visibile al mondo l’hanno portata a cercare una integrazione che altri non hanno mai deliberatamente dovuto scegliere….sta di fatto ogni volta che entro in Doosan ho la sensazione che quello sia il mondo come dovrebbe essere. Il mondo vero.