Negli ultimi due giorni ho avuto ben tre segnali che sono contemporaneamente incoraggianti e deprimenti.
L’Intermat 2015 sarà un salone in pieno rilancio.
L’Italia si conferma fra i cinque paesi al mondo ad avere una bilancia commerciale nel manifatturiero con un attivo che supera i 100 miliardi di dollari.
L’EIMA 2014 ha ribadito la capacità e la potenzialità dell’industria italiana di settore che si colloca, insieme a quella tedesca, fra i big leader mondiali.
L’altro ieri la conferenza stampa dell’Intermat 2015 che si è svolta a Milano ha dato un segnale chiaro e positivo in merito al futuro del salone parigino.
Non saranno presenti Caterpillar e JCB per evidenti politiche (?) di marketing ma Doosan Bobcat occuperà lo spazio tradizionalmente opzionato dal primo costruttore al mondo e Volvo CE lo seguirà a ruota ampliando di molto la propria presenza.
Saranno presenti anche gli altri grandi costruttori inviando un chiaro segnale al mercato Europeo delle costruzioni.
A sottolineare l’importanza di questo evento ci sarà anche il “World of Concrete” con tutta la filiera del cemento armato a fare presenza.
Sono stato quindi un cattivo profeta, sulla base dell’andamento del Samoter 2014, quando avevo affermato che i due saloni europei “minori” sarebbero naufragati sotto lo strapotere di Bauma e Conexpo e della loro capacità di fare sistema a livello globale con i vari “Bauma-Conexpo” a fare da brand trainante nei paesi emergenti.
Il Samoter è andato come è andato. Lo abbiamo visto tutti.
L’Intermat invece si presenta oggi forse più in salute che in passato. Se quindi il segnale è positivo per il comparto a livello Europeo, lo è molto meno per noi.
Ieri leggevo sulle pagine de “Il Sole 24ore” – in un interessante inserto dal titolo significativo “Soft Economy” – che l’Italia è oggi fra i cinque paesi al mondo che hanno un surplus manifatturiero superiore a 100 miliardi di euro. Siamo in buona compagnia insieme a Cina, Germania, Giappone e Corea del Sud. Il nostro manufatto export è cresciuto dal 2012 a oggi del 15,6% contro l’11,6% di quello tedesco e il 5,4% di quello francese.
Un dato che ha trovato piena conferma durante la mia purtroppo breve visita all’EIMA 2014.
L’industria italiana fa la voce grossa nel comparto meccanico. E non la fa urlando. Bensì con virtuosismi alla Pavarotti.
“La zavorra del PIL”, come viene esemplarmente chiamato il peso che ci sta trascinando a fondo, è rappresentato dalla macchina burocratica e statale inefficiente e costosa, dalla questione meridionale ancora oggi irrisolta, una forte diffusione della corruzione e un’evasione fiscale che, benché minore rispetto alla Germania, investe in gran parte e ancora una volta quel sud Italia che sembra non voler decollare.
Appare chiaro che i problemi, a questo punto, sono solo e soltanto nostri anche perché l’incapacità politica di prendere decisioni importanti ha bloccato la domanda interna portandola a dati statistici che, per la produzione legata al comparto delle costruzioni, ci fa tornare al 1937.
E fra tutti i problemi emerge chiara l’incapacità dello Stato di saper amministrare una potenzialità enorme.
Non faccio distinzioni di nessun genere: sindacati, imprenditori “di stato”, politici a ogni livello. E ovviamente tutti coloro che lavorano nel pubblico e a cui una situazione di questo tipo fa troppo comodo.