Da circa un mese ho cominciato i corsi per operatori di macchine movimento terra in qualità di docente.
Ho potuto constatare – da questa piccola posizione privilegiata – come le lacune professionali siano ancora molte e che il salto generazionale che tutti ci auspichiamo sia ancora lontano da venire. Ma questa è un’altra storia.
Tra gli argomenti più nebulosi e meno conosciuti compaiono le direttive in merito alle emissioni inquinanti che, dal 2014, avranno la loro ulteriore svolta con l’entrata in vigore dello Stage IV per l’Europa e per il Tier IV Final per quanto riguarda il nord America (Stati Uniti e Canada).
Non si tratta di un argomento previsto dai programmi ufficiali dei corsi per operatori ma – personalmente – lo tratto sempre come elemento informativo per cercare di diffondere un certo tipo di consapevolezza sull’evoluzione tecnologica delle macchine movimento terra.
Ebbene. Noto che la confusione regna ben più che sovrana.
Facciamo un po’ di chiarezza fornendo un quadro chiaro sulle date dei vari step – già ampiamente entrati in vigore – sui valori limite delle emissioni e sulle nazioni che – globalmente – hanno deciso di intraprendere un iter normativo che porti all’abbassamento generale delle emissioni inquinanti.
Una storia cominciata nel 1996 e che avrà il suo termine a fine 2017 con la fine del periodo transitorio Stage IIIb/Stage IV.
Difficile trovare una linearità in questo lungo cammino che sta portando – nell’arco di vent’anni – ad avere macchine movimento terra con un impatto ambientale ridotto fino al 98% (a seconda delle fasce di potenza) rispetto ai motori Stage I.
Il primo passo è stato fatto fra il 1996 e il 1999 in un arco di tempo di tre anni in cui lo Stage I aveva fissato i primi limiti emissivi relativi al PM (Particulate Matter) – il famigerato particolato – e gli NOx (Nitrogen Oxide) – gli ossidi di azoto – quali agenti inquinanti formati principali prodotti dai motori a ciclo Diesel.
I limiti si riferiscono ovviamente alle emissioni espresse in g/kWh e da qui in poi si è trattato – più che di un cammino – di una vera e propria corsa a ostacoli che – nel tempo – si è spesso rivelata più difficoltosa del previsto.
Se i primi step sono quasi passati inosservati – sia per i costruttori che per i clienti – gli ultimi gradini hanno rappresentato delle non da poco in cui le case madri hanno dovuto risolvere problematiche di vario genere a seconda delle soluzioni motoristiche intraprese anni prima.
Scelte che hanno richiesto investimenti molto elevati e che – alla luce delle normative future – a volte non si sono rivelate lungimiranti. Tanto che molti costruttori hanno dovuto abbandonare per strada intere famiglie di motori e altri – in modo a volte un po’ rocambolesco – sono ricorsi a tutti i dispositivi possibili e immaginabili per il trattamento dei gas di scarico.
Un altro grande problema è stato – a mio avviso – il fatto che l’entrata in vigore non ha seguito un iter in cui si tenesse conto delle effettive difficoltà tecniche per raggiungere certi traguardi con i primi step forse troppo diluiti nel tempo e gli ultimi limiti – invece – fissati in modo eccessivamente ravvicinato. E sono proprio questi ultimi che – nel concreto – sono stati i più difficili da raggiungere e hanno comportati investimenti molto elevati in ricerca e sviluppo.
Dall’altro c’è come una sorta di impressione generale che i costruttori – viste le bassissime difficoltà iniziali per il salto da un limite a quello successivo – abbiano dormito sugli allori e abbiano sottovalutato il problema per poi trovarsi, negli ultimi step, in grande affanno.
Sicuramente la crisi ci ha messo il proprio zampino in quanto gli ultimi tre gradini – Stage IIIa, Stage IIIb e Stage IV – sono capitati proprio dopo il 2006 con tutte le problematiche del caso.
Tanto per dare una prima idea di massima – ma si tratta di un argomento che tratterò ancora in modo approfondito – per il particolato si è passati da 0,7 g/kWh dello Stage I per i motori nella fascia 75-129 kW (100-173 hp) a 0,02 g/kWh dello Stage IV.
Si tratta di una riduzione che arriva a sfiorare il 98%…per la precisione parliamo del 97,15% in meno…
Per quanto riguarda gli ossidi di azoto si è invece passati da 10 g/kWh a 0,4 g/Kwh. Si parla qui di una riduzione esattamente del 96%.
Quando si parla di fattori inquinanti spesso non si tengono conto degli effettivi danni che questi provocano al nostro organismo e a coloro che – ogni giorno – lavorano con macchine datate e respirano gioco forza quanto viene emesso in atmosfera.
Gli ossidi di azoto, per esempio, provocano deficienze polmonari che scatenano e acutizzano l’asma. Sono inoltre tra i principali elementi che causano lo smog fotochimico in presenza di idrocarburi incombusti (che compongono il particolato) e la presenza di ozono nell’atmosfera per l’azione del sole. Alcuni di loro (il triossido e il pentossido) sono solubili in acqua e, con l’umidità dell’atmosfera, possono formare acido nitroso e acido nitrico che sono i principali costituenti delle piogge acide.
Il particolato, invece, provoca malattie acute e/o croniche dell’apparato respiratorio come asma, bronchite, enfisema polmonare, allergia e – nei casi più gravi – anche tumori. Così come agisce da aggravante o scatenante in malattie cardiovascolari.
Le particelle più piccole – come il PM10, il PM2,5 – possono interagire in modo diretto anche a livello di scambio cellulare raggiungendo – e quindi trasportando e rilasciando sostanze inquinanti – i centri nevralgici dell’organismo.
Non si conosce ancora il meccanismo dettagliato con cui il particolato interferisce con gli organismi ma si sa che al diminuire delle dimensioni la possibilità di interazione biologica aumenta. Le nanopolveri sarebbero in grado di penetrare nelle singole cellule rilasciando direttamente le sostanze trasportate provocando anche gravi infezioni.
Un percorso lungo vent’anni di cui si sentiva il bisogno.