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Digitalizzazione. Mai più senza

Digitalizzazione, questa sconosciuta. Tutti ne parlano ma quanti, nel mondo delle costruzioni, sanno davvero cosa sia, come funzioni, cosa prometta e, soprattutto, cosa mantenga?  Perché può trasformarsi in un formidabile strumento di crescita per le nostre imprese? Gli ultimi dati di cui disponiamo non sono confortanti: il Rapporto DESI 2020 (Digital Economy and Society Index) ci dice infatti che per competenze digitali l’Italia in Europa passa dal 24° al 25° posto in classifica, peggio di noi fanno solo Romania, Grecia e Bulgaria.

Se è però vero che da noi l’indice di digitalizzazione e il legame tra produttività e digitalizzazione sono  più bassi che altrove,  in termini dinamici l’Italia è comunque il Paese che registra l’aumento più rapido degli indicatori di digitalizzazione (l’importanza di Industria 4.0).

Potrebbe sembrare che i dati siano il nuovo petrolio. Ma non è così.

  • Non sono una materia prima esauribile, al contrario sono inesauribili e si autoalimentano
  • Non si scambiano su un mercato che ne determina il prezzo in base all’incrocio tra domanda e offerta. Al contrario si scambiano su mercati senza prezzo, caratteristica centrale dell’economia digitale.

La trasformazione digitale può migliorare la qualità delle produzioni. Ma quella digitale non è una vecchia economia che si trasforma ma una nuova economia che sta trasformando il significato stesso del mercato.

Purtroppo la pandemia ha accelerato in maniera forzata l’introduzione della digitalizzazione in più settori (quello della didattica in primis). Ma l’ambito che ci interessa, quello delle macchina da cantiere, è ancora molto indietro da questo punto i vista e guarda alle nuove tecnologie e, in generale, al mondo impalpabile dei Big Data, con sospettosa diffidenza.

Eppure con la digitalizzazione dobbiamo fare i conti tutti. E il suo ingresso su larga scala in cantiere è destinato a produrre una radicale trasformazione del modus operandi, sia in termini di gestione che di operatività.

Un incontro dedicato

La digitalizzazione del cantiere è un’esigenza sempre più stringente per il rilancio e la competitività dell’imprenditoria impegnata quotidianamente nel sistema delle costruzioni. Bim, software tecnici e professionali, laser scanner, realtà aumentata e virtuale, droni, strumenti topografici, soluzioni di generative design, digital twin sono tutti strumenti indispensabili per aumentare la competitività degli operatori, mantenendo un sistema produttivo efficace, efficiente di qualità, capace di generare nuovi modelli d’impresa e una nuova generazione di edifici, città e territori.

Per promuovere la digitalizzazione nel contesto operativo del cantiere è in corso un ambizioso progetto in cui il Politecnico di Milano gioca un ruolo di primo piano: si tratta di DigiPLACE, che intende offrire una serie di linee guida e denominatori comuni in grado di aumentare la produttività e la sostenibilità della filiera construction a livello europeo.

Di questo progetto, nell’ambito di un incontro digitale (avrebbe potuto essere altrimenti?) organizzato lo scorso novembre da Macchine Edili, ha parlato il prof. Alberto Pavan, che ne è responsabile.

In questa iniziativa di ampio respiro, è coinvolto anche il CECE (Committee for the European Construction Equipment), l’Organizzazione con sede a Bruxelles che rappresenta gli interessi delle associazioni nazionali dei produttori di macchine edili in Europa e che già da tempo sta lavorando per la digitalizzazione in cantiere, con l’obiettivo di spingere la condivisione dei dati provenienti dalle macchine che vi lavorano.

IA al servizio dell’uomo

E’ indubbio che l’Intelligenza Artificiale sia un motore globale di crescita e progresso. Si calcola che entro il 2030 l’IA farà aumentare il PIL del 26% in Cina, del 14% in nord America e del 10% in Europa

Se si parla di macchine oggi non si può prescindere da quell’Intelligenza  Artificiale che “sta cambiando il mondo”, come  hanno affermato Paolo Benanti, frate teologo e grande studioso della gestione delle innovazioni nell’era digitale tra l’America e l’Europa, e Jeffrey Schnapp, esperto di robotica e Ai, docente a Harvard e collaboratore di grandi aziende.
Tutte le  attività stanno trasformandosi profondamente grazie  all’IA che non utilizza più software programmati che fanno solo quello per cui sono stati realizzati, ma sistemi addestrati, capaci di rispondere autonomamente a un problema che gli viene posto.

Queste macchine, che Benanti chiama “macchine sapiens” per intercettare la realtà si basano su propri sensori che ne prendono ovviamente solo porzioni, trasformandole in dati ulteriori. E: ”siccome l’IA fonda le sue decisioni sui dati e poiché questi non sono una copia perfetta della realtà la macchina sapiens non sarà ovviamente infallibile e questo appunto rende assolutamente necessario un approccio etico condiviso per evitare si producano azioni e decisioni che possano danneggiare le persone, creare disequilibri a livelli individuali e sociali’‘.
Si pone insomma una questione etica legata alla necessità di riuscire a gestire questa straordinaria innovazione con algoritmi legati a principi positivi. Per questo la conclusione del nostro convegno digitale è stata affidata alla prof. Viola Schiaffonati  docente  di Logica e Filosofia della Scienza al Politecnico di Milano, che è arrivata alla consolante conclusione che la relazione affidata all’algoritmo deve essere mediazione personale. E che, in questo nuovo Umanesimo digitale, è proprio all’uomo che spetta l’ultima parola.

Il Gruppo Bosch (che prevede che entro il 2025 tutti i prodotti siano sviluppati o realizzati con l’aiuto dell’IA) ha fissato le linee guida aziendali per l’uso dell’Intelligenza Artificiale che deve essere sicura, affidabile e comprensibile. Un codice etico che si basa sul principio secondo cui l’IA deve essere al servizio delle persone e non debba prendere decisioni senza che l’uomo ne abbia il pieno controllo.

E che la tecnologia e l’uomo non fossero antagonisti ma protagonisti collaborativi di un processo evolutivo condiviso l’aveva capito molto bene una donna, Margareth Hamilton che nel 1969 ha progettato l’Apollo Guidance Computer, che aveva al centro l’uomo, cioè l’esploratore spaziale.

E sarà ancora l’Uomo con la maiuscola, negli anni che ci aspettano, a continuare a svolgere il suo irrinunciabile ruolo di esploratore nello spazio digitale.