Catastrofi evitabili

Prevenire è meglio che ricostruire. O no?

per webPrevenire significa avere una visione strategica del futuro. Agire prima che le circostanze ci obblighino a farlo. Avere la meglio sul tempo, decidere in autonomia senza costrizioni o condizionamenti. E questo è vero anche per i terremoti che purtroppo, essendo il nostro un paese sismico, sono in Italia una realtà con cui confrontarsi e non un’eventualità remota. Ma se l’evento è in sé geologicamente ineluttabile, le sue catastrofiche conseguenze possono e debbono essere limitate e anche evitate.

Oltre il 40% del territorio italiano è a rischio sismico elevato e il 60% degli edifici è stato costruito prima del 1974, l’anno delle prime (e poco rispettate) norme antisismiche.

Gli interrogativi che si pongono dopo i fatti catastrofici del 24 agosto scorso sono tanti, ma primo fa tutti è senz’altro questo: perché continuiamo a preferire di spendere dopo (e infinitamente di più), per aiuti e ricostruzione, quanto si dovrebbe spendere prima per mettere in sicurezza gli edifici e il territorio?

testoPerché non fare il retrofit sismico (come si dovrebbe fare quello ambientale) degli edifici storici, con isolatori o cuscinetti antisismici da disporre alla base delle costruzioni, rafforzando i pilastri con fibra di carbonio, usando controventi dissipativi tra un piano e l’altro per ammortizzare le scosse, rinforzando vecchie murature?

Non c’è alcun motivo per rassegnarsi al fatto che i terremoti uccidano la gente. E se per le nuove costruzioni, sia residenziali che civili, la procedura è naturalmente più facile, è importante che si tuteli con uguale attenzione il patrimonio storico esistente che in Italia rappresenta una notevole percentuale del costruito ed è la memoria storica, di pietra e mattoni, del nostro passato. Oltre a costituire un preziosissimo bene collettivo.

Maria Garlock
Maria Garlock

“Si possono adottare tecniche che costano indubbiamente meno della ricostruzione”, ha spiegato Maria Garlock, professoressa di ingegneria civile alla Princeton University e presidentessa del Consortium of Universities for research in Earthquake Engineering. “Basterebbe analizzare lo stato degli edifici, i materiali con cui sono stati costruiti, i punti deboli, per poi rinforzare le strutture, con particolare attenzione ai nodi di congiunzione”.

Sul fronte ricostruzione, secondo l’Ance, solo per rimediare alle distruzioni prodotte dai terremoti, dal 1968 a oggi sono stati spesi 180 miliardi (attualizzati). Ricostruire un chilometro quadrato costa tra 60 e 200 milioni. Con 100 miliardi si sarebbe rimessa in sesto tutta l’Italia.

A cosa sono serviti i soldi spesi (ma soprattutto le vite spezzate) se i risultati sono questi?

Eppure un copione alternativo al fatalismo della tragedia sempre annunciata e mai prevenuta e arginata è possibile. Ma le risposte da parte dello Stato e degli Enti preposti devono essere immediate, incisive, efficaci.

Per preservare il passato, il presente ma soprattutto il futuro del nostro territorio e di chi in esso vive, studia, lavora.