Problemi & Soluzioni

Opere incompiute. Problema non solo italiano

Nove anni fa fu eseguito il primo getto di calcestruzzo per l’aeroporto Brandenburg di Berlino. Avrebbe dovuto essere inaugurato nel 2012, costare 1,2 miliardi di euro e accogliere 34 milioni di passeggeri all’anno. Oggi le uniche persone che lo frequentano sono gli operai che vi lavorano. Il progetto, che ha sforato di 6 volte il budget previsto, pare sia incorso in ben 66.500 (non è un refuso!) errori progettuali e costruttivi. Il portavoce del progetto che nel 2016 l’aveva definito senza mezzi termini “shit-show” (espressione che non ha bisogno di traduzione), dicendo che al momento non si poteva garantire alcuna data di inaugurazione, è stato subito licenziato. L’aeroporto di Berlino è solo un esempio, visto che più del 90% dei progetti infrastrutturali al mondo sono o in ritardo o fuori budget, come ha spiegato Bent Flyvbjerg della Said Business School dell‘Università di Oxford. Il nuovo quartier generale della Apple nella Silicon Valley è stato inaugurato due anni dopo il previsto ed è costato 2 miliardi di dollari in più. Ma anche i progetti meno faraonici non sono da meno, visto che, secondo una ricerca degli architetti inglesi, il 60% degli edifici britannici è in ritardo sulla tabella di marcia. E McKinsey sostiene che l’industria delle costruzioni registri il minor tasso di produttività di qualsiasi altra industria, in testa Germania, Giappone, Francia e Italia.

In Italia ci sono almeno 752 cantieri aperti. Per chiuderli ci vorrebbero quasi 2 miliardi di euro, ma nel frattempo restano inutilizzate opere pubbliche che valgono 3,5 miliardi.

Qualche esempio? In Sardegna il raddoppio della Statale Olbia/Sassari è iniziato nel 2011 ma solo 4 lotti su 10 sono pronti. In Sicilia la Diga di Pietrarossa è in costruzione dal 1990. A Roma i costi del cantiere della “Grande Vela” di Calatrava sono passati dai 60 milioni ai 660 milioni e l’opera è rimasta a metà. A Taranto neppure i morti hanno pace visto che il nuovo cimitero è in costruzione da anni. E via di questo passo.

In Italia il problema è soprattutto politico. Ma nel mondo, secondo autorevoli osservatori, non sarebbe così.

La colpa non andrebbe addossata ai prezzi dei materiali, solo in parte responsabili. Secondo l’Economist l’industria è diventata meno intensiva dal punto di vista del capitale, con la progressiva sostituzione della forza lavoro a vantaggio delle macchine. Un trend meno spiegabile in paesi come l’Arabia Saudita dove è più conveniente importare operai dall’India o il Pakistan piuttosto che acquistare macchine. L’altra causa è la mancata aggregazione da parte di molte imprese di costruzione, che così perdono in competitività, non potendo sfruttare i benefici che altre economie di scala consentirebbero.

In America attualmente ci sono 730.000 imprese, con una media di 10 addetti l’una. in Europa ve ne sono 3.3 milioni, con una media di soli 4 lavoratori l’una. La competizione è forte e i margini più bassi di qualsiasi altra industria, escluso il retail.

Le imprese cercano di massimizzare i profitti più che di collaborare, con il risultato che si alzano i prezzi per i clienti perdendo di vista gli strumenti che possono migliorare la produttività. Secondo l’architetto olandese Ben van Berkel, mentre tutti usano l’iPhone, l’industria delle costruzioni sarebbe ferma al Walkman.

Gli strumenti ci sono, dal BIM alle gru controllate da remoto alle macchine a guida autonoma ( Komatsu sta sviluppando un nuovo dozer innovativo da questo punto di vista).

Ma quanti (da noi ma anche altrove, viste le perplessità degli autorevoli pareri citati) li conoscono, li sanno usare, ci credono, vogliono investirci?