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L’operatore sparirà?

per webMai come di questi tempi sentiamo parlare di auto che si guidano da sole e di macchine operatrici che possono muoversi autonomamente senza che sia l’operatore a bordo ad azionare i comandi. E iniziano ad arrivare, anche da noi in redazione, telefonate di gente preoccupata di perdere il proprio lavoro in un futuro che non si prospetta neppure tanto lontano.

Le notizie di questo tipo non dovrebbero comunque stupirci più di tanto: ogni innovazione tecnologica, ogni passo avanti del progresso, ha sempre prodotto disoccupazione e la storia (forse) è iniziata con i tessitori settecenteschi che  andavano a spaccare i telai meccanici per paura di rimanere senza lavoro. Ed è continuata inesorabile, dall’avvento del vapore, a quando, l’11 luglio 1899, venne  fondata la FIAT,  e fu subito chiaro  che se la tradizionale figura dell’operaio non fosse cambiata sarebbe sparita. E via via, fino  alla scomparsa della macchina da scrivere, negli anni ’80, quando i riparatori di Olivetti, se non erano abbastanza svegli da diventare esperti di computer, si trovavano di colpo spiazzati.

sinistraDel problema della cosiddetta AI (Artificial Intelligence) si occupa anche The Economist che paventa che le macchine che si sostituiscono all’uomo rischino di rendere “ridondante” la gente. Eufemismo per dire praticamente inutile.

Un vero e proprio panico sulla disoccupazione tecnologica ci fu negli anni 60 quando le aziende iniziarono a utilizzare computer e robot e poi ancora  negli anni 80, quando apparvero i primi PC. E ogni volta sembrò che parecchi lavori dovessero scomparire. Ma, di fatto la tecnologia ne creò più di quanti ne distrusse. Obbligando però la gente ad acquisire nuove capacità e competenze. Una sfida  che si rinnova e che, sempre secondo l’Economist, è duplice, sia per chi lavora, sia per i responsabili del welfare che dovrebbero aiutare  i lavoratori esistenti ad aggiornarsi in maniera rapida ed efficiente.

La soluzione? Aggiornamento continuo, con un processo di apprendimento che durerà a “lifetime”, cioè una vita intera, senza interruzione, per consentire rapidi cambiamenti delle competenze e altrettanto veloci “riciclaggi” in altri ambiti.

Una grande fatica, indubbiamente, come quella che ha dovuto fare il giornalista classico, abituato a usare carta e penna, che è stato obbligato a reinventarsi, imparare a gestire nuovi contenuti, utilizzare nuove piattaforme di comunicazione,  diventare blogger, video maker….in un processo di aggiornamento spesso snervante ma anche indubbiamente arricchente.

La cosa consolante (confermata dal settimanale britannico) è che, AI o meno, l’interazione uomo/macchina non potrà mai essere messa in discussione. Solo che, per continuare a restare nel mercato e a mantenere il proprio lavoro, bisognerà fare qualche sforzo in più. Del resto, cosa dicono proprio i britannici? No gain without pain.